
Più volte abbiamo parlato delle prestazioni occasionali, una forma di lavoro autonomo prevista dall’art. 2222 del Codice Civile. Infatti, si tratta di un tema particolarmente “caldo” perché sembra non ci sia mai abbastanza chiarezza e sono spesso soggette a molti errori.
Questo succede perché, spesso, viene utilizzata la ritenuta per prestazione occasionale anche per quei lavori che, per loro natura, non possono essere svolti ed inquadrati come occasionali.
Ad esempio, sia nel caso in cui il lavoro sia assimilabile all’attività d’impresa e quindi è necessaria l’immediata apertura della partita Iva, oppure al contrario perché si tratta di altre modalità di lavoro occasionale, come il lavoro a chiamata o quella prevista dagli ex voucher dei libretti di famiglia.
La natura giuridica del committente
Un aspetto su cui c’è grande confusione è sicuramente quello relativo all’applicazione concreta del conteggio della ritenuta: va sempre applicata nell’ambito di queste prestazioni? La risposta è no.
Troppo spesso i prestatori d’opera non verificano se il committente a cui indirizzano la ritenuta è un soggetto privato o se ha partita Iva. E, in questo caso, con che tipologia di regime opera.
Questo aspetto, invece, è di fondamentale importanza perché cambia tutto il procedimento relativo al pagamento della ritenuta d’acconto e dell’eventuale versamento delle imposte.
Non tutti i prestatori occasionali si rivolgono ad un commercialista e, quasi sempre, propongono le ritenute utilizzando format standard che vengono inviati in maniera generale a tutti i clienti, senza distinguere la loro forma giuridica.
Se il cliente è sostituto d’imposta, ed è quindi soggetto alla ritenuta d’acconto, questo vorrà dire che dovrà pagare al netto della ritenuta e quindi versare l’importo successivamente per fare per la certificazione unica indicando i dati nel modello 770.
Quando la ricevuta va invece ad un soggetto con regime forfettario, in questo caso, il cliente va trattato come un privato e quindi non va applicata la ritenuta. Questo non è valido, però, per il regime dei minimi, ormai in esaurimento, verso il quale va invece applicata la ritenuta.
In pratica, nel primo caso, ovvero quando si parla di un cliente soggetto a ritenuta, nel fare la ricevuta, se ipotizziamo un compenso di 100 euro, a cui dovremo aggiungere obbligatoriamente una marca da bollo da 2 euro (prevista per importi superiori a 77,47 euro) il cliente, anche se privato, pagherà 102 euro.
Se il cliente ha una partita Iva semplificata, non in regime agevolato, su un compenso di 100 euro pagherà invece 82 euro perché il 20% dell’importo sarà versato con F24 come acconto sulle imposte che andremo poi a pagare.
Cosa fare in caso di errore?
Molto spesso le ricevute occasionali applicano la ritenuta d’acconto anche se indirizzate ai forfettari. Quest’ultimi, che magari non si consultano con il commercialista, provvedono al pagamento versando anche la ritenuta.
Si verifica spesso che il prestatore occasionale, poi, a fine anno, richieda la CU (Certificazione Unica), ma il forfettario non è tenuto e non deve farla.
E’ possibile trovare una soluzione, anche se non perfetta, per ovviare ad adempimenti che non sono propri di questi soggetti.
Il consiglio, se la procedura relativa alla ritenuta d’acconto è errata, è quella di restituire al prestatore occasionale la parte della ritenuta, ovvero il compenso non liquidato appena ci si accorge dell’errore.
Questo si può fare, in pratica, ricevendo un ulteriore ricevuta di prestazione occasionale e provvedere a sostituire attraverso un Civis, una procedura dell’Agenzia delle Entrate, le ritenute già versate con un altro codice tributo, magari come acconto sulle imposte sostitutive dei forfettari.
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